Gurisatti
[…] I «problemi logici» traggono origine dall’orizzonte della comunicazione scolastica di questioni, senza alcun interesse per un confronto con le cose: ci si limita a trasmettere determinate possibilità tecniche.
In tale logica si chiama definizione quel mezzo in cui il concetto assume la sua determinazione. Considerando la definizione potremo quindi appurare che cosa propriamente si intende con concetto e concettualità. Scegliamo di attenerci alla Logica di Kant per vedere che cosa si dice della definizione nel contesto di una vera indagine, l’unica dopo Aristotele. Kant è il solo a far vivere la logica. Quest’ultima, infatti, continua ad agire in tutta la sua consistenza tradizionale nella dialettica hegeliana, che è totalmente sterile, non essendo nient’altro che una rielaborazione del materiale logico tradizionale da determinati punti di vista.
Se quindi andiamo a vedere ciò che Kant chiama «definizione» colpisce il fatto sorprendente che egli tratti della definizione nel capitolo sulla Dottrina universale del metodo. La definizione appare come un’occasione metodica per acquisire la chiarezza della conoscenza. Kant ne parla collocandola tra i mezzi atti a incrementare la «chiarezza dei concetti in considerazione del loro contenuto». Tramite la definizione dev’essere aumentata la chiarezza dei concetti. Però anche la definizione è, al tempo stesso, un concetto: «La definizione non è nient’altro […] che un concetto logicamente compiuto». Dunque, in fin dei conti, in base alla definizione non conosciamo che cos’è un concetto, quindi ci limitiamo ad attenerci a ciò che Kant stesso dice del concetto.
[…]
La concettualità e il senso del concetto dipendono quindi da come in generale si intende la domanda riguardante che cosa è qualcosa, da dove questa domanda trae origine. Nel carattere esplicito della definizione il concetto ci dà che cosa l’oggetto, la res, è. È per questo che la definizione in senso proprio è la cosiddetta «definizione reale», la quale determina che cos’è la res in se stessa. La definitio si compie stabilendo la differenza di genere e di specie. In questo contesto tale regola appare in un primo momento strana, dato che inizialmente non si capisce perché proprio il genere e la specie debbano determinare l’oggetto nel suo che cosa. Sorprendentemente però Kant afferma che è vero che la definizione reale ha il compito di determinare il che cosa della cosa in base al «fondamento primo» della sua «possibilità» – ovvero di determinare la cosa in base alla sua «possibilità interna» –, ma che la determinazione della definitio, in quanto realizzantesi tramite genus proximum et differentiam specificam, vale soltanto per le «definizioni nominali», che risultano per comparazione. Per la definitio della res questa determinazione non c’entra nulla.
La posizione di Kant è caratterizzata da due elementi: 1. il fatto che la definitio viene discussa nella dottrina del metodo; 2. il fatto che egli determina la regola fondamentale della definitio in modo tale che essa non c’entra nulla per la definizione propriamente detta.
In risposta, domanderemo a nostra volta ponendo la questione: come accade, di fatto, che la definitio determina l’ente nel suo essere? Com’è che una definitio, che è, in senso proprio, una conoscenza materiale, diventa una questione di compiutezza logica? In questa posizione di Kant nei confronti della definitio sta il destino dell’indagine aristotelica.
Domandiamo quindi a nostra volta: la definitio è ὁρισμός, ὁρισμός è un λόγος, un «esprimersi» in merito all’esserci in quanto essere. Ὁρισμός non è una determinazione del cogliere con precisione, al contrario, giacché in definitiva il carattere specifico dello ὁρισμός nasce e si sviluppa dal fatto che l’ente stesso è determinato nel suo essere in quanto delimitato dal πέρας. Essere significa essere-finito.
Metcalf & Tanzer
[…] “Logical problems” emerge from the horizon of a scholastic imparting of issues; its interest lies not in a confrontation with things, but rather with the imparting of definite technical possibilities.
In this logic, one speaks of definition as the means by which the concept undergoes determination. We will, therefore, be able to see, in the consideration of definition, what one properly means by concept and conceptuality. We wish to keep to the Kantian Logic in order to see what is said about definition in the context of actual research, that is, in the only one since Aristotle . Kant is the only one who lets logic become vital. This logic operates in its entirely traditional form afterward in the Hegelian dialectic, which in a completely un-creative way merely adapts traditional logical materials in definite respects.
When we consult Kant ’s characterization of definition, we are struck by the fact that definition is treated in the chapter entitled “General Doctrine of Method.” Definition is a methodological issue, designed to lend precision to knowledge. It is treated as the means for conveying the “precision of concepts with regard to their content.” Through definition the precision of concepts is conveyed. However, definition is, at the same time, a concept: “The definition alone is [. . .] a logically complete concept.” Therefore, we do not discover, fundamentally, what a concept is without going beyond the definition, and so we must take up what Kant himself says about the concept.
[…]
The conceptuality and the sense of the concept depend on how one understands, in general, the question concerning what something is, where this question originates. The concept yields what the object, the res, is in the explicitness of the definition. Therefore the genuine definition is the so-called “real definition,” which thus determines what the res in itself is. Definitio is fulfilled through the specification of differences in genus and species. At first glance, this procedure seems odd in this context; one does not immediately understand why in particular the genus and the species should determine the object in its What. It is noteworthy that Kant now says that, to be sure, the real definition has the task of determining the What of the matter from the “first ground” of its “possibility,” or of determining the matter according to its “inner possibility.” But the determination of the definition, as occurring through genus proximum et differentiam specificam, only counts for the “nominal definition” that is generated by comparison. And precisely in the case of the definition of the res, this way of determining does not come into play.
For Kant ’s position, the two characteristic aspects are (1) that the definitio is discussed in the doctrine of method and (2) that he determines the basic procedure of the definitio in such a way that it does not come into play for genuine definition.
We will inquire back so as to ask ourselves the following: How does it really come about that the definitio determines the being in its being? How does it come about that a definitio, which is genuine knowledge of the matter, becomes a matter of logical perfection? In this, Kant ’s position on definitio, lies the fate of Aristotelian research.
We therefore inquire back: definitio is ορισμός, ορισμός is a λόγος, a “self-expression” about being-there as being. Ορισμός is not a way of apprehending through sharp determination, but rather the specific character of ορισμός ultimately arises from the fact that the being itself is determined in its being as circumscribed by the πέρας. Being means being-completed. [See Hs. p. 335 ff.] (GA18 :10-13)